Storia: le Masserie Gesuitiche come Investimento di Capitali

A cura di Francesco di Corato.

Ci domandiamo: cosa spinse i Gesuiti a fare investimenti cosi cospicui in Capitanata ? I latifondi del Tavoliere erano allora dediti quasi esclusivamente alla coltivazione dei cereali (soprattutto grano, ma anche orzo e avena, con ritmi rotativi annuali ben precisi) e al pascolo invernale delle pecore che la transumanza menava lì dai pascoli estivi dall’Appennino abruzzese lungo i secolari tratturi.

Tutti questi cicli economico-fiscali erano ben regolati dalla Dogana delle Pecore di Foggia, un’istituzione che risale almeno a leggi normanne del secolo XII, modificate da Federico II nel Codice di Melfi del 1231.

Ora il periodo fra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, scrive Aurelio Lepre, «appare singolarmente favorevole agli investimenti nel campo della coltivazione del grano. Non conosciamo le ragioni di questo fenomeno, ma può darsi che tra esse ci sia un alto prezzo del grano a Napoli, che in quegli anni conosce un notevole sviluppo demografico»: sappiamo infatti che tra il 1600 e il 1650 balzò dai 300.000 ai 450.000 abitanti, divenendo la seconda metropoli europea dopo Parigi, più popolata di qualsiasi città italiana e della stessa capitale Madrid.

I Padri impegnarono notevoli somme non solo per l’acquisto dei terreni, ma anche per riattare gli edifici e procurare le attrezzature. «Intorno ad un complesso importante come quello dei Gesuiti si creava un grosso movimento di denaro (an che cinquantamila ducati fanno di spese) che dava vita ad un certo movimento commerciale all’esterno della masseria stessa che, di conseguenza, veniva a costituire un’unità economica assai meno chiusa di un’azienda feudale.

L’acquisto di attrezzi, di bestiame, di vino, dava respiro ai mercati vicini, ed anche lontani, oltreché procurare lavoro a gruppi di fabbri, falegnami, cordai, sellari ed altri artigiani». Così ancora il Lepre, che continua elencando, a mo’ di esempio, le spese fatte nel corso dell’anno 1624-25, ammontanti a 34.476 ducati.

Quale il reddito del complesso delle tenute ? Il rationale Domenico Giannoccoli, che nel 1768 stese con accuratezza lo Stato delle rendite e pesi pubblicato da Carolina Belli e sopra più volte citato, dedotte le spese prevede una rendita netta di Ducati 46.926,4530.

Ma i documenti ci dicono, e gli autori citati lo rilevano, che non tutte le annate agrarie furono felici; anzi, dopo poche annate favorevoli, il prezzo del grano crollò; «nel 1614 siamo in piena crisi»; «I Gesuiti non erano buoni agricoltori (…). Per poter arare bene tanta terra «nei 1616 i Gesuiti presero in esame l’opportunità di vendere tutto».

Non sembrava infatti economicamente corretto tenere impegnati cosi grossi capitali con poco ricavo; in complesso, però, notando alcuni che «gli inizi sono sempre difficili e le masserie avevano pur fruttato il 5-6%», si decise di restare in Puglia.

Altro giudizio dà Addolorata Sinisi nello studio già citato: «I Gesuiti non erano buoni agricoltori…). Per poter arare bene tanta terra sarebbero stati necessari, secondo il costume di Puglia, 30 buoi per ogni centinaio di versure, cioè 960 animali.

Invece complessivamente i Gesuiti ne tenevano 722, dei quali diversi erano inadatti alla fatìca per vecchiaia. L’aratura, quindi, era superficiale: il prodotto, di conseguenza, scarso».