A cura di Salvatore Cuccia.
Liliana Segre afferma: “L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l’indifferenza”. Memoria. Una parola che incarna diversi signicati: memoria storica, fotograca, memoria intesa come ricordo.
C’è poi un signicato ancora più profondo: Testimonianza. Quella dimostrazione che anno dopo anno lentamente sta sparendo per via dell’età anagrafica dei sopravvissuti allo sterminio nei campi di concentramento. Il Giorno della Memoria è una commemorazione internazionale, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno come giornata per rievocare le vittime della Shoah.
È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre
2005 durante la 42ª riunione plenaria. Suddetta risoluzione fu preceduta da una sessione speciale tenuta il 24 gennaio 2005 durante la quale l’Assemblea generale delle Nazioni Unite celebrò il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine dell’Olocausto.
Si stabilì, perciò, di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel fatidico giorno del 1945 le
truppe dell’Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. A spalancare i cancelli, furono le truppe sovietiche della 60ª Armata del “1º Fronte ucraino”del maresciallo Ivan Konev, le quali arrivarono per prime presso la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), scoprendo il vicino campo di concentramento e liberandone i superstiti.
La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista. Tuttavia, nel campo di concentramento di Auschwitz, circa dieci giorni prima, i nazisti si erano ritirati portando con loro, in una marcia della morte, tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa.
L’apertura del medesimo diede al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma mostrò anche strumenti di tortura e annientamento utilizzati in quel lager nazista.
Sebbene i sovietici avessero già liberato, circa sei mesi prima, il campo di concentramento di Majdanek e conquistato, nell’estate del 1944, anche le zone in cui si trovavano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka in precedenza smantellati dai nazisti (1943), fu stabilito che la celebrazione del giorno della Memoria coincidesse con la data di liberazione di Auschwitz.
In Italia, prima di arrivare a denire il disegno di legge, si discusse a lungo su quale dovesse essere considerata la data simbolica di riferimento: si trattò di decidere su quali eventi erigere la riflessione pubblica sulla memoria. In
particolare, furono due le opzioni.
La prima, proposta dal deputato Furio Colombo, il quale indicò il 16 ottobre, data del rastrellamento del ghetto di Roma (in quel giorno del 1943 oltre mille cittadini italiani di religione ebraica furono catturati e deportati dall’Italia ad Auschwitz): questa ricorrenza avrebbe permesso di focalizzare l’attenzione sulle deportazioni razziali e di sottolineare le responsabilità anche italiane nello sterminio.
Dall’altra parte vi era
chi sosteneva (in particolare l’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti) che la data prescelta dovesse essere il 5 maggio, anniversario della liberazione di Mauthausen, per sottolineare la centralità della
storia dell’antifascismo e delle deportazioni politiche in Italia.
Infine, anche in ragione della portata evocativa che Auschwitz – ormai simbolo universale della tragedia ebraica durante la seconda guerra mondiale – da anni raffigura per tutta l’Europa, si optò per adottare il giorno della sua liberazione, avvenuta il 27 gennaio.