A cura di Franco Luce
È davvero tanto difficile definire il regi me politico instaurato in Russia da Vladimir Putin, attualmente l’uomo più potente del mondo. Ora, l’Europa in particolare, ha l’obbligo attraverso i su oi governanti, di immaginare e studiare quali conseguenze sociali e politiche hanno spinto il dittatore Putin ad invadere le fertili pianure dell’Ucraina.
Sarebbe anche importantissimo conoscere quali sono le eredità politiche, culturali e istituzionali del passato che
ancora plasmano la società e il mondo politico russo. Libri di importanti rilievi geo-politici, offrono il ritratto di un paese che è poco conosciuto nelle sue dinamiche interne, ma che è un attore primario nello scenario geopolitico mondiale, dalla guerra al terrorismo in Cecenia, (e non sarà certamente l’ultimo), al conflitto con l’Ucraina iniziato con l’invasione della Crimea.
Noi europei siamo stati degli ingenui a credere che la fine della Guerra fredda, con la caduta del muro di Berlino rendesse le guerre europee sempre più improbabili. Ma stiamo invece constatando che le due maggiori potenze del mondo euro-atlantico (Russia e Stati Uniti) stanno portando avanti una guerra per procura in Ucraina, nel cuo-
re dell’Europa.
Quali sono i reali motivi del conflitto? Quanto contano il carattere di Putin e quello di Zelenskyj? Le sanzioni produrranno l’effetto desiderato o rischiano invece di provocare danni soprattutto all’Europa? Siamo alla vigilia di una guerra che si estenderà all’intero continente? Sarà ancora possibile riunire tutti gli attori del dramma al tavolo della pace? Lo abbiamo creduto ed eravamo convinti della definitiva fine della Guerra fredda in particolare dopo lo storico abbattimento del muro di Berlino.
Avevamo anche creduto che dopo la brutta esperienza e i danni provocati dalla seconda guerra mondiale con i suoi oltre 60 milioni di morti, si sarebbe naturalmente modificata la geopolitica delle grandi potenze. Pensavamo che non avrebbero più vissuto in un clima di reciproca diffidenza e che gli strateghi delle due parti non avrebbero trascorso gran parte del loro tempo fra piani offensivi e difensivi.
Ora ci accorgiamo di aver commesso gravissimi errori di valutazione. Le due maggiori potenze (Russia e Stati Uniti) continuano a vivere nella convinzione che vi è sempre un nemico e che occorre continuamente preparare il Paese ad affrontarlo e se mai distruggerlo. Per queste due potenze e mi auguro che non si aggiunga una terza (la Cina), esiste sempre un altro Paese che diventa, anche contro la sua volontà, la causa del conflitto.
Il Paese scelto, in questo caso, è l’Ucraina. Stiamo parlando di politica internazionale, vale a dire di un mondo in cui gli Stati hanno interessi competitivi, ambizioni aggressive, sospettosi timori e spregiudicati argomenti. Una persona di cui ho molta stima, l’ambasciatore Sergio Romano esperto di politica internazionale, descrive così Putin: “Sappiamo oramai che Putin non è mai stato comunista, anzi detesta Lenin e ritenendosi patriota gli rinfaccia, come sappiamo, la pace di Brest Litovsk, il trattato del marzo 1918 con cui gli imperi centrali tolsero alla Russia zarista territori abitati da 56 milioni di persone.
Putin, ama il suo Paese e vorrebbe che la Russia continuasse ad avere nelle relazioni internazionali lo status di grande potenza come ai tempi dell’Unione Sovietica. Nel 2002 nel vertice atlantico di Pratica di Mare, un uomo come Vladimir Putin fu accettato da George W. Bush, da Silvio Berlusconi e da altri per una dichiarazione congiunta contro il terrorismo.
Questa pace fasulla, russo-americana, come sappiamo, durò sino a quando Washington preferì permettere che i
Paesi dell’Europa centro-orientale (ex-satelliti dell’URSS) entrassero nella NATO, creata per combattere la Russia comunista. Da allora Putin ha cominciato a comportarsi come se le nuove democrazie dell’Europa centro-orientale fossero i suoi nemici, inoltrando in quei paesi agenti sabotatori nella democrazia occidentale.
Potrebbe essere Zelenskyj un uomo capace di creare migliori rapporti con le democrazie e i Paesi vicini della Europa centro-orientale? Volodymyr Zelenskyj è un attore che ha conquistato il suo pubblico con una serie televisiva il cui protagonista è un insegnante, che denuncia casi di corruzione, alquanto frequenti nel suo Paese.
Il programma piacque al pubblico, dette il suo nome a un movimento politico e quando Zelenskyj, nel 2019, decise di candidarsi alle elezioni per la presidenza della Repubblica, i suoi connazionali lo elessero al ballottaggio con il 73% dei voti. Fu sicuramente una scelta democratica di un popolo che la sua classe dirigente aveva esasperato, deluso e impazientito. A questa scelta del popolo ucraino, la Russia risponde oltrepassando in armi i confini dove aveva già creato delle teste di ponte con movimenti filorussi.
L’Occidente risponde con le sanzioni per persuadere l’avversario a correggere la sua politica, non solo, ma con l’aspettativa, più o meno esplicita, di un radicale cambio di regime, vale a dire la sollevazione del popolo contro il proprio governo. Però, non sempre le sanzioni producono l’effetto desiderato e in molti casi finiscono per provocare danni e inconvenienti, colpendo anche i Paesi che le hanno imposte. Il resto, è storia recente alla quale assistiamo ogni giorno con i nostri mass-media, e credo che nessuno (per ora) possa conoscere l’esito di questo conflitto che ogni giorno allarga i propri confini.
Avevamo creduto, che la morte del Partito comunista sovietico e la dissoluzione dell’URSS nel 1991 avrebbero dovuto aprire un capitolo nuovo nella storia delle loro relazioni internazionali, ma i pregiudizi, quando sono radicati nella memoria dei popoli, scompaiono lentamente, soprattutto se i Paesi ricorrono all’arma delle sanzioni. Pare che, a mio modesto parere, America e Russia sono entrambe orfane della Guerra Fredda, generando periodicamente sussulti di rivendicazioni geopolitiche, dovute sicuramente alla definitiva morte del comunismo, loro originaria missione.
Gli Stati Uniti non sono più custodi della democrazia, campioni della libertà, baluardo della civiltà contro il pericolo rosso. Mentre la Russia non è più la nemica di un liberismo sfrenato e inumano e l’annunciatrice di una nuova giustizia sociale. Paradossalmente anche gli Stati Uniti, come la Russia, sono alla ricerca di una nuova identità. Credo o forse me lo auguro che, seppure lunga la strada per arrivare ad una pace o ad un compromesso, avrà la sua conclusione e sarà la deterrenza nucleare ad imporla. Di un esito sono certo: “Saranno diversi gli at-
tuali confini”.