A cura di Francesco di Corato.
Accade il 12 febbraio 1944.
La tomba dimenticata di 10 soldati prigionieri ortesi e dei 5 Reali Siti. Pochi sanno del naufragio del piroscafo
norvegese Oria e degli oltre 4000 militari italiani che vi hanno perso la vita.
1) Serg. Mag. Camarchio Sergio, 30/11/1911, Orta Nova, Qr Generale.
2) Covelli Cosimo, 31/10/1915, Orta Nova.
3) Sold. Di Pierro Francesco, 18/05/1915, Orta Nova, 50 Autorep. Auto.
4) Sold. Di Palma Cesare, 02/03/1911, Orta Nova 312 Btg. Carri Carr.
5) Sold. Lo Surdo Vincenzo, 28/07/1913, Orta Nova 1 Cp. Mitr.
6) Serg. Mazzilli Nicola, 09/02/1915, Orta Nova, 35 Rgpt. C. d’Arm. Art.
7) Sold. Papagno Francesco, 06/09/1913, Orta Nova, 265 Rgt. Ftr.
8) Sold. Prezioso Luigi, 17/12/1923, Orta Nova 35 Rgt. Art. Div. Fant.
9) Sold. Tabborino Giuseppe, 25/11/1912, Carapelle 9 Rgt. Ftr.
10) Sold. Triburzio Antonio, 26/10/1911 Stornara 9 Rgt. Ftr.
La nave di 2000 tonnellate, varata nel 1920, requisita dai tedeschi, salpò l’11 febbraio 1944 da Rodi alle 17,40 per il Pireo. A bordo più di 4000 prigionieri italiani che si erano rifiutati di aderire al nazismo o alla RSJ dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l’equipaggio norvegese.
L’indomani, 12 febbraio, colto da una tempesta, il piroscafo affondò presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali prospicienti l’isola di Patroklos (in Italia erroneamente nota col nome di isola di Goidano).
I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare solo 37 italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina. L’Oria era stipata all’inverosimile, aveva anche un carico di bidoni di olio minerale e gomme da camion oltre ai nostri
soldati che dovevano essere trasferiti come forza lavoro nei lager del Terzo Reich.
Su quella carretta del mare, che all’inizio della guerra faceva rotta col Nord Africa, gli italiani in divisa che dissero no a Hitler e Mussolini vennero trattati peggio degli ignavi danteschi nella palude dello Stige: non erano prigionieri di guerra, di conseguenza senza i benefìci della Convenzione di Ginevra e dell’assistenza della Croce Rossa.
Allo stesso tempo, poi, il loro sacrificio fu ignorato per decenni. Riflettiamo per non Dimenticare. Non abbiamo imparato niente da questa immane tragedia se attualmente tra Russia e Ucraina si continuano a trattare i prigionieri alla stessa stregua degli IMI. Non è bastata un’apocalisse come la Seconda Guerra Mondiale per farci capire l’enorme sbaglio che stiamo ripetendo. E non bastavano gli accorati appelli delle madri che cercavano i propri figli prigionieri dispersi, con poche righe sui bollettini di guerra come ultima speranza per vederli tornare a casa.
Ma, per loro, non ci fu ritorno. Oggi ancora una volta, stiamo commettendo lo stesso sbaglio e la speranza che con queste ricerche si possa comprendere l’immane gravità di una situazione ciclica ripresentata oggi a distanza di circa 80 anni può essere di buon auspicio a chi in futuro, capirà cosa significa aver intrapreso una guerra.